Patologia Speciale Odontostomatologica nei pazienti con malattia neoplastica

In Italia, come nel resto del mondo, i tumori maligni sono in continuo aumento. Nel 2012 vi sono stati circa 430.000 nuovi casi stimati di tumore maligno (circa 1.000 al giorno), di cui circa il 56% negli uomini e circa il 44% nelle donne. Viene stimato che la frequenza annuale di diagnosi è in media 8 nuovi casi ogni 1000 uomini e 6 casi ogni 1000 donne; complessivamente, quindi, 7 casi ogni 1000 persone, pari a 700 casi circa ogni 100.000 abitanti /anno. Lo scorso anno i decessi per tumore sono stati circa 180.000, con una frequenza media annuale nelle aree italiane coperte da Registri Tumori di circa 3,5 decessi ogni 1000 uomini e di circa 2,5 decessi ogni 1000 donne. I tumori sono in Italia la seconda causa di morte (30% circa di tutti i decessi) dopo le malattie cardio-circolatorie (38%). Il peso dei tumori è più rilevante tra gli uomini, dove causano un numero superiore di decessi rispetto alle malattie cardio-circolatorie (34%), che tra le donne (25% dei decessi). A causa dell'invecchiamento generale della popolazione, il carico complessivo delle nuove diagnosi tumorali sta aumentando e crescerà di circa il 10% nel 2020 e del 13% nel 2030, con diverse modifiche sia delle incidenze delle singole sedi di tumore che nelle diverse fasce d'età; infatti, aumenteranno i tumori maligni più frequenti negli anziani e diminuiranno quelli con picchi di incidenza nelle età più giovani. Per effetto della diagnosi precoce e del miglioramento dell'efficacia delle terapie anticancro, nell'ultimo ventennio la sopravvivenza a 5 anni dei malati di tumore è aumentata sia negli uomini che nelle donne, con una riduzione delle differenze tra i due sessi; essa è̀ aumentata dal 39% degli anni novanta al 52% dell'ultimo quinquennio per gli uomini e dal 56% al 61% per le donne. Viene stimato che circa 2.500.000 italiani attualmente vivano con una diagnosi di tumore maligno (circa il 5% della popolazione); oltre la metà di essi sono i cosidetti "lungo sopravviventi", ossia hanno avuto la diagnosi da più di 5 anni, e sono spesso liberi da malattia e da trattamenti.

Le complicanze orali delle terapie oncologiche

Le terapie non chirurgiche del cancro come le chemioterapie e le radioterapie sono sempre più efficaci e vengono utilizzate sia per la cura primaria del tumore, sia nella terapia associata di completamento all'intervento chirurgico sia come trattamento palliativo per il prolungamento della sopravvivenza dei pazienti. Poichè gli agenti chemioterapici sono tra i farmaci a più basso indice terapeutico e la radioterapia può determinare la distruzione non solo del tessuto neoplastico ma anche dei tessuti compresi nell'area irradiata, questi trattamenti possono causare effetti collaterali gravi, a breve e a lungo termine, che interessano diversi distretti, incluso il cavo orale. Il trapianto di midollo associato a chemioterapia con o senza irradiazione total-body è un' ulteriore e rilevante causa di effetti avversi e negativi per il cavo orale. Le conseguenze negative per il cavo orale delle cure oncologiche sono diverse, e possono compromettere in modo rilevante la salute, il benessere e l'esito delle terapie durante la fase di cura. Alcuni effetti negativi possono essere persistenti e compromettere le funzioni orali e la qualità della vita al termine delle cure antitumorali. L'incidenza dei problemi orali è molto variabile: dal 30 al 100% dei pazienti oncologici possono soffrire di complicazioni orali con implicazioni rilevanti per la sopravvivenza e il benessere durante e dopo la terapia. La loro comparsa richiede frequentemente terapia di supporto e può, nei casi più gravi, compromettere o ostacolare la terapia. La radioterapia è una modalità terapeutica richiesta da circa il 60% dei pazienti oncologici e basata sull'uso di radiazioni ionizzanti e sul loro effetto sui tessuti biologici. Viene somministrata una precisa dose di radiazione, in base al tipo di tessuto "bersaglio", al suo grado di assorbimento e alla localizzazione del tumore, ad un ben definito volume tumorale, prospettando di ottenere l'eradicazione del tumore, o, in alternativa, il miglioramento della qualità della vita e il prolungamento della sopravvivenza dell'individuo, con il minor danno possibile ai tessuti normali circostanti. Gli effetti collaterali negativi delle radiazioni sul cavo orale sono immediati, quali xerostomia, mucosite, infezioni batteriche, disgeusia e disfagia; o tardivi come iposcialia, processi cariosi, teleangectasia, fragilità della mucosa, infezioni, trisma, fibrosi muscolare, diminuzione della vascolarizzazione, necrosi dei tessuti molli, osteoradionecrosi e malformazioni dentali e facciali. La chemioterapia è la terapia di scelta per curare i tumori con diffusione metastatica. Viene utilizzata anche per il trattamento della malattia locale in associazione alla chirurgia e alla radioterapia, come chemioterapia primaria e adiuvante, apportando un contributo significativo nel ridurre le ricadute post-chirurgiche e nell'aumentare il numero di interventi chirurgici conservativi con possibilità di preservare la funzione degli organi colpiti. Il trattamento antineoplastico ottimale viene ottenuto combinando più farmaci nei cosiddetti "protocolli di polichemioterapia", sfruttando azioni differenti dei chemioterapici sul DNA cellulare. Gli agenti chemioterapici sono tra i farmaci a più basso indice terapeutico, potenzialmente in grado di causare effetti collaterali e avversi gravi. La depressione midollare rappresenta il limite principale della terapia antiblastica: il paziente, infatti, andrà incontro ad anemia, neutropenia, trombocitopenia, e conseguente astenia e immunodepressione, con aumentato rischio di contrarre infezioni e di emorragia. I più comuni effetti collaterali avversi provocati dalla chemioterapia sono legati alla tossicità sistemica dei farmaci e agli effetti sulle cellule dei tessuti in costante turnover, con mielodepressione, infezioni, emorragie gastrointestinali, nausea, vomito, malnutrizione, diarrea o stipsi, alopecia, lesioni cutanee e mucose, disordini endocrini, dolore ed alterazione dell'umore. I principali effetti avversi orali delle cure anticancro sono le mucositi, le modificazioni del gusto, la secchezza orale, la disfagia, le infezioni opportunistiche e le conseguenze a lungo termine come l'osteonecrosi dei mascellari da radiazioni o da farmaci, le compromissioni dentali e parodontali, le lesioni da Graft-Versus-Host-Disease (GVHD). Questi eventi provocano in misura maggiore o minore la compromissione delle funzioni orali di deglutizione, masticazione e fonazione.

Mucositi orali

La mucosite è il danno delle barriere mucose associato alle terapie non chirurgiche del cancro e può interessare la mucosa di rivestimento del tratto gastrointestinale e delle vie aeree superiori. La mucosite orale è una delle complicanze più frequenti e potenzialmente più severe associate al trattamento radio-chemioterapico. Più del 40% dei pazienti sottoposti a chemioterapia a dosi standard e circa il 75% dei pazienti che ricevono chemioterapia ad alte dosi sviluppa una mucosite orale. Nei pazienti sottoposti a radioterapia del distretto testa-collo, della zona pelvica o addominale o quelli sottoposti a chemioterapia o chemioradioterapia mieloablativa ad alta dose precedentemente ad un trapianto di cellule staminali ematopoietiche, la prevalenza della mucosite orale è del 90- 100%. I meccanismi che portano all'insorgenza delle mucositi sono complessi e non unicamente correlati a effetti tossici delle radiazioni ionizzanti o dei farmaci citotossici sulle cellule a rapido turnover dell'epitelio orale. Il processo etiopatogenetico delle mucositi è multifattoriale, correlato all'effetto negativo dei farmaci e delle radiazioni, al cambiamento dell'ecologia della flora microbica, al cambiamento della proliferazione in vari tipi cellulari, alla risposta immunitaria. Dal punto di vista patogenetico, la mucosite rappresenta l'evento finale di un processo complesso caratterizzato dall'interazione di fenomeni biologici che avvengono sia a livello epiteliale, con conseguente atrofia ed ulcerazione, che connettivale con danno endoteliale e della matrice collagenica. Il meccanismo etiopatogenetico alla base di una mucosite prevede una tempistica articolata in iniziazione, risposta infiammatoria al danno primario, amplificazione del segnale, ulcerazione e guarigione. In ogni fase è importante il ruolo mediato dalle citochine pro-infiammatorie con l'effetto tossico diretto del farmaco chemioterapico sull'epitelio e sul tessuto connettivo. L'estensione e la gravità della mucosite dipende non solo dallo specifico protocollo terapeutico ma anche da fattori individuali quali età, sesso, razza, compromissione sistemica, igiene orale, caratteristiche dell'epitelio, stato nutrizionale, tipo di neoplasia, secchezza orale farmaco-indotta, precedenti danni alla cavità orale, scarsa igiene orale, tabagismo e predisposizione genetica. La presenza di fattori locali in grado di danneggiare il rivestimento mucoso orale, cioè microbi, elementi dentali fratturati o acuminati, protesi incongrue, elementi dentali irrimediabilmente 9 compromessi dai processi infettivi o infezioni parodontali sono in grado di scatenare, accelerare e aggravare la progressione della mucosite con conseguenze devastanti per la salute generale del malato oncologico. In circa il 50% dei pazienti affetti, le lesioni compromettono in maniera significativa la qualità di vita; inoltre, le mucositi possono predisporre ad una successiva infezione da miceti, virus e batteri. La natura e il grado di severità delle mucositi in un determinato paziente varia a seconda del regime di terapia applicato (i.e. combinazione di radio e chemioterapia, dosaggio, durata e sequenza). La mucosite indotta da farmaci è legata al loro dosaggio e alla posologia. Agenti chemioterapici come il metotrexate, fluorouracile (5-FU) ed etoposide sono particolarmente stomatotossici. Nella mucosite radio-indotta, i fattori di rischio dipendono dalla dose, dal frazionamento, dal sito della radioterapia, dalla combinazione con chemioterapia ed eventuali regimi di condizionamento nei candidati al trapianto. Tale quadro clinico si sviluppa ad una dose cumulativa di 10 Gy, con picchi di 30 Gy. Sono richieste da 3 a 6 settimane dopo il completamento della radioterapia per la guarigione dei tessuti orali. La mucosite radio-indotta interessa i tessuti limitati al settore esposto, tra palato duro e gengiva e si manifesta con eritema o alterazioni bianche delle mucose, a causa di una transitoria ipercheratinizzazione. Le lesioni ulcerative si verificano a dosi cumulative di 30-50 Gy, mentre il quadro di mucosite cronica si verifica raramente dopo la radioterapia. Nella mucosite indotta da chemioterapia il segno clinico precoce è l'eritema: può verificarsi in qualsiasi regione della bocca, ma spesso è localizzato in aree non cheratinizzate, come le superfici interne delle guance e labbra, il palato molle, la superficie laterale e inferiore della lingua e il pavimento della bocca. La mucosite orale diventa clinicamente evidente dopo 4-5 giorni dall'infusione del chemioterapico e generalmente ha un picco 7-14 giorni dopo, con la manifestazione di lesioni ulcerative. Si risolve spontaneamente entro tre settimane dalla fine della chemioterapia. Spesso non è limitata a tale periodo, ma può diventare una patologia più duratura con effetti devastanti sul recupero del paziente e tali da ostacolare il completo benessere per anni. Inoltre, è possibile la comparsa di ulcere e pseudo membrane che impediscono la normale deglutizione. La mucosite può, non solo impedire l'assunzione orale di cibo e liquidi, ma portare anche a ostruzione delle vie aeree orofaringee secondarie a gonfiore, sanguinamento e ad una minore capacità di proteggere le vie respiratorie. Il danno a carico delle mucose orali è sempre una potenziale causa di infezioni localizzate, che, soprattutto, nel paziente neutropenico, possono disseminarsi ed essere causa di gravi infezioni sistemiche pericolose per la vita. La mucosite orale può svilupparsi in modo così debilitante da compromettere la qualità di vita dei pazienti; può essere accompagnata da dolore, disgeusia, disfagia anche di entità severe con conseguente incapacità di buona nutrizione tale da compromettere lo stato nutrizionale del soggetto. In molti casi si rende necessaria la nutrizione per via parenterale. Tutte queste manifestazioni non solo possono avere un impatto negativo sulla qualità di vita dei pazienti, ma possono portare all'abbreviazione del periodo di terapia o una riduzione della dose del chemioterapico o al ritardo del trattamento oncologico, con conseguente riduzione della probabilità di sopravvivenza a lungo termine. Le mucositi orali hanno un impatto economico significativo sulla sanità pubblica, in termini di management del dolore, difficoltà nutritive, ospedalizzazioni frequenti per il controllo del dolore, per il supporto di fluidi e per la nutrizione parenterale, assistenza domiciliare per la nutrizione parenterale e per l'idratazione intravenosa e di prescrizione di farmaci (antidolorifici ed antibiotici).

Secchezza orale

La definizione di secchezza orale comprende la xerostomia, cioè la sensazione soggettiva di secchezza della bocca, ma anche l'iposcialia, o iposalivazione, cioè la riduzione anormale della produzione della saliva per compromissione reversibile o irreversibile della funzione ghiandolare. Le manifestazioni cliniche includono oltre che l'obiettività o soggettività di secchezza orale, anche la viscosità eccessiva della saliva, la saliva schiumosa, la difficoltà a percepire correttamente il gusto degli alimenti. La ridotta lubrificazione delle superfici mucose orali provoca l'aumento e l'eccesso di frizione dei cibi solidi contro i tessuti duri dentali, i manufatti protesici, durante i movimenti volontari e involontari con conseguente ostacolo alla masticazione, alla deglutizione e alla fonazione. Tutto ciò provoca rilevanti ostacoli alle funzioni elementari e complesse orali, lo sviluppo di lesioni traumatiche alle mucose, l'aumento del rischio di infezione locale e sistemica e un grave scadimento della qualità della vita. La radioterapia con irradiazione delle ghiandole salivari causa secchezza orale in tutti i pazienti trattati, con effetto dose-dipendente. L'irradiazione provoca alterazioni infiammatorie e rapida degenerazione del parenchima ghiandolare con successiva atrofia e sostituzione fibrosa dei tessuti. L'iposcialia da irradiazione è progressiva e irreversibile con somministrazioni superiori a 25 Gy con possibile riduzione del flusso salivare di circa il 95%. Con le nuove tecniche di somministrazione della radioterapia, come la modulazione di intensità (IMRT), la secchezza orale può perdurare per periodi di tempo inferiori. L'effetto gravemente xerostomizzante, con riduzione o addirittura azzeramento della secrezione salivare e della lubrificazione orale, di molti protocolli di terapia oncologica aggrava la condizione determinando una grave compromissione dello stato di salute generale dei pazienti. La xerostomia indotta da chemioterapia è solitamente transitoria, si autolimita e, generalmente, si risolve entro le 48 ore. Il diminuito flusso salivare provoca notevoli modificazioni al trofismo dei tessuti orali e alterazione della flora batterica orale, favorendo la microflora responsabile della carie (Streptococcus mutans, Lactobacillus) e lo sviluppo eccessivo dei miceti (Candida spp.) La gestione della secchezza orale rimane essenzialmente sintomatica.

Disgeusia

La terapia antineoplastica è causa frequente di perdita della percezione del gusto o alterazione del senso dello stesso: sono interessati dolce, acido, amaro e salato. Il fenomeno può essere correlato all'effetto diretto dei farmaci, della radioterapia e alla diminuzione del flusso salivare. Ciò può causare gravi disagi ai pazienti, riducendo l'apporto alimentare e interferendo con la qualità della vita. Solitamente il senso del gusto viene recuperato tra 1 e 3 mesi dopo la conclusione della terapia. La prevenzione e la gestione della malnutrizione sono di primaria importanza nei pazienti trattati con terapie oncologiche.

Disfagia

Per disfagia si intende la difficoltà a deglutire ed al corretto transito del bolo alimentare nelle vie digestive superiori; può riguardare solo i cibi solidi, o anche quelli semiliquidi o liquidi. La disfagia indotta da radio-terapia può condurre a gravi complicanze come la polmonite ab ingestis. La secchezza delle mucose aggrava il deficit della funzione deglutitoria. Gli effetti della disfagia cronica sulla qualità della vita conseguenti alla radio-terapia sono importanti quanto la xerostomia permanente. Esistono trattamenti preventivi (es. "la posizione del capo flesso") che devono iniziare prima del trattamento radioterapico o chemioterapico. Talvolta, gli effetti collaterali della chemioterapia impediscono al paziente di portare a termine un programma di esercizi di fisioterapia specifici per migliorare la deglutizione. Gli interventi compensatori terapeutici (es. la deglutizione sopraglottica o la manovra di Mendelsohn) sui deficit individuati, attraverso la valutazione strumentale, si rivelano migliorativi della funzionalità deglutitoria approssimativamente nel 75% dei pazienti trattati con radioterapia.

Trisma

La reazione infiammatoria con fibrosi dei muscoli masticatori in seguito all'irradiazione ad alte dosi di sedi della testa e del collo può portare allo sviluppo di trisma con difficoltà all'apertura della bocca e alla conduzione delle normali funzioni orali. Il paziente lamenta dolore muscolare, articolare e difficoltà nell'apertura della bocca. Quindi, il paziente avrà problemi nella masticazione, nella fonetica e nel sottoporsi a trattamenti odontoiatrici. Alcuni esercizi di fisioterapia mandibolare per allenare l'apertura della bocca aiutano a prevenire il trisma muscolare o per lo meno a ridurre le sue conseguenze.

Carie dentale radioindotta

Il termine carie radioindotta viene spesso utilizzato per indicare un'intensa e rapida attività cariogena che si sviluppa in conseguenza della radioterapia, a causa di un insieme di fattori: secchezza orale, pH salivare acido, aumento dei batteri cariogeni. Le alterate qualità e quantità della saliva non permettono la naturale remineralizzazione delle superfici dentali: lo smalto dentale diviene friabile e si frattura facilmente durante la masticazione. In caso di bordi dentali taglienti è buona norma arrotondarli per non traumatizzare i tessuti molli. La carie radioindotta può manifestarsi da 2 a 10 mesi dopo la fine della radioterapia. Tutto ciò provoca la rapida distruzione delle corone dentali con permanenza delle radici necrotiche che provocano spesso l'insorgenza di ascessi e flemmoni; tali complicanze infettive predispongono al rischio di insorgenza di osteoradionecrosi.

Infezioni orali

Il danno diretto ed indiretto ai tessuti da parte dei farmaci o della radioterapia con compromissione del sistema immunitario e interruzione delle barriere mucose, le modificazioni dei biofilm orali, la disfunzione delle ghiandole salivari con conseguente riduzione del flusso salivare, lo scadimento delle condizioni generali aumentano il rischio di infezioni da microrganismi residenti, opportunisti o acquisiti con facilitazione di tutte le condizioni infettive orali e rischio di diffusione sistemica. Le infezioni batteriche (Gram + Streptococcus spp., Staphilococcus spp e batteri opportunisti Gram - E. coli, Enterobacteri, Pseudomonas, Neisseria, Klebsiella, Serratia , Fusobacterium) coinvolgono più frequentemente i tessuti gengivali, anche se tutta la superficie della mucosa è potenzialmente a rischio. Le infezioni della mucosa orale possono causare febbre e batteriemia sistemica. Il coinvolgimento dei batteri nella fase ulcerativa della mucosite orale è stato confermato da tempo. L'incidenza delle sepsi da batteri del cavo orale è maggiore nei pazienti sottoposti a chemio e radioterapia in presenza di mucosite. Più spesso le sepsi si verificano in pazienti sottoposti a trapianto di midollo; i batteri più spesso isolati sono Streptococcus spp alfa-viridans e Staphylococcus aureus. I quadri clinici di infezione orale dovrebbero essere sempre confermati dal risultato di test di laboratorio, utile anche per stabilire la sensibilità agli antibiotici. In circa il 40% dei casi alla mucosite orale si associa un'infezione da miceti anche se in letteratura non è stata trovata un'associazione statisticamente significativa. Nella maggior parte degli isolamenti microbiologici dalla cavità orale è stato repertato Candida albicans, più raramente Candida tropicalis, Candida parapsilosis ed Aspergillus. Nel 70% circa dei casi la candidosi orale coinvolge la lingua. Il rischio di infezioni fungine sistemiche è maggiore nel caso di grave e prolungata neutropenia (<500 neutrofili/ml). Sono frequenti anche le infezioni primarie o secondarie da Herpes simplex virus (HSV) e le ricorrenze di infezione da Varicella-Zoster Virus (VZV) e da Citomegalovirus (CMV). Clinicamente, le infezioni orali da HSV e da VZV sono caratterizzate da vescicole, erosioni e ulcerazioni della mucosa orale e della cute periorale con eritema e croste. Il quadro clinico di ulcere orali erpetiche può essere confuso con quello di una stomatite aftosa ricorrente, di sindromi di Stevens-Johnson da farmaci o di lesioni traumatiche. Non si rileva un'incidenza maggiore di infezione erpetica in caso di radioterapia. Lo specialista infettivologo dovrebbe essere coinvolto per l'adozione di specifici protocolli di trattamento. Non vi è correlazione chiara fra sepsi e manovre invasive del cavo orale ed è per questo motivo che non vi sono raccomandazioni univoche sull'uso profilattico degli antibiotici nel caso di cure odontoiatriche. Le raccomandazioni esistenti per il trattamento profilattico in caso di procedure dentali invasive sono soprattutto empiriche, con poche prove scientifiche. Questo è giustificato dal fatto che le procedure odontoiatriche causano batteriemie di breve durata rispetto a quanto le normali funzioni quotidiane come per esempio il masticare o il lavarsi i denti possono provocare. Per la prevenzione di infezioni metastatiche durante le procedure odontoiatriche invasive si faccia riferimento alle linee guida dell'American Heart Association (AHA - 2007).

Osteoradionecrosi delle ossa mascellari

L'osteoradionecrosi è una grave complicanza delle radioterapie condotte nelle regioni della testa e del collo, con incidenza in circa 4% dei pazienti. L'irradiazione dell'osso (40-60 Gy o maggiore) causa danni permanenti alla microvascolarizzazione ossea e agli osteociti con fibrosi che conduce a ritardo e difficoltà nella guarigione di ferite ossee e necrosi ossea. La maggior parte dei casi di osteoradionecrosi insorge dopo traumi ossei o estrazioni dentali. I segni e i sintomi della condizione comprendono dolore, tumefazione, ulcerazione, mobilità ridotta della mandibola, fistolizzazione cutanea e deiscenza mucosa con esposizione di osso necrotico. Con lo studio radiologico, le aree affette evidenziano aree di trasparenza ossea poco definite con zone radioopache. Il trattamento iniziale comprende il trattamento dei focolai di infezione se presenti e debridment chirurgico con delicata irrigazione dei tessuti. L'ossigenoterapia iperbarica può contribuire a migliorare il decorso dell'osteoradionecrosi, aumentando la tensione di ossigeno nei tessuti, stimolando la proliferazione vascolare e contrastando la proliferazione di alcune specie batteriche. Nei pazienti a rischio, la valutazione orodentale accurata con trattamento adeguato delle infezioni dentoparodontali croniche o acute che termini almeno tre settimane prima dell'inizio della radioterapia consente la riduzione dell'incidenza dell'osteoradionecrosi.

Osteonecrosi delle ossa mascellari da farmaci antiriassorbitivi associati alle terapie oncologiche

Nei pazienti affetti da ipercalcemia maligna, metastasi ossee di tumori solidi di varia natura o mieloma multiplo e trattati con farmaci aminobisfosfonati o altri inibitori del riassorbimento osseo (con contemporanea assunzione o meno di agenti anti-angiogenetici), è possibile l'insorgenza di osteonecrosi delle ossa mascellari (ONJ) correlata ai farmaci (denominata BRONJ se associata agli amino-bisfosfonati). Tale condizione si manifesta nelle fasi iniziali con alterazioni radiologiche a livello alveolare e/o con sintomi neurologici periferici facciali e successivamente con necrosi ossea ed esposizione dell'osso da deiscenza della mucosa soprastante Recentemente sono stati descritti diversi casi di ONJ in pazienti oncologici in trattamento con farmaci anti-angiogenetici a cosiddetto target biologico (i.e. bevacizumab, sunitinib, sorafenib, in associazione o meno con bisfosfonati) o anche con farmaci potenzialmente alternativi ai bisfosfonati (i.e. denosumab). Una delle peculiarità dell'ONJ è la localizzazione quasi esclusiva alle ossa mascellari. Le possibili cause di questo fenomeno non sono ancora del tutto conosciute, ma sono state ipotizzate, ad oggi, una serie di motivazioni, come di seguito riportate: turnover osseo dei mascellari fisiologicamente più elevato rispetto al restante scheletro; vascolarizzazione terminale della mandibola; presenza di un esile rivestimento muco-periosteo a protezione del sottostante tessuto osseo, facilmente soggetto a traumatismo; microflora/biofilm della cavità orale; caratteristica interfaccia dento-alveolare che predisporrebbe, in caso di malattia dento-parodontale (i.e. lesioni e ascessi periapicali, parodontiti) o chirurgia oro-dentale, all'esposizione del tessuto osseo sottostante. Per la trattazione completa e le relative linee-guida preventive, diagnostiche e terapeutiche si rimanda alla specifica Raccomandazione n.10/2009 del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali.

Graft-versus-host-disease

La GVDH o malattia da trapianto contro l'ospite è una complicanza importante del trapianto allogenico di cellule emopoietiche (HCT) e rimane la principale causa di mortalità nei pazienti in cui non recidiva il tumore primario. La GVHD può manifestarsi in una forma acuta o in una forma cronica. La malattia acuta si osserva solitamente entro i primi 100 giorni dopo il trapianto mentre la forma cronica si manifesta dopo questo periodo iniziale. La cavità orale viene colpita dalla malattia in circa l'80% dei casi, con una ampia varietà di segni e sintomi che provocano complicanze significative a breve e lungo termine. La GVHD cronica ha alcune tipiche caratteristiche cliniche, con coinvolgimento delle mucose, delle ghiandole salivari e della cute. Le lesioni orali hanno aspetto simile a quelle del lichen planus e sono caratterizzate da eritema, lesioni reticolari e ulcerative. Nel palato si possono osservare tipici mucoceli superficiali per l'infiammazione delle ghiandole salivari minori. Molti pazienti manifestano xerostomia e iposalivazione anche severa. I pazienti con GVHD cronica salivare sono a rischio per sviluppare complicanze infettive orali secondarie, come candidosi e carie dentale. La terapia steroidea locale comunemente impiegata provoca immunosoppressione mucosa e aumenta il rischio di sviluppare candidosi orali.

PREVENZIONE ODONTOIATRICA E SICUREZZA DEI TRATTAMENTI ODONTOIATRICI NEI PAZIENTI CON MALATTIA NEOPLASTICA TRATTATI CON BISFOSFONATI, DENOSUMAB E/O ANTI-ANGIOGENETICI.

L'osteonecrosi delle ossa mascellari (ONJ) farmaco relata, prevalentemente associata a bisfosfonati e diffusamente denominata anche BRONJ, è davvero la più emergente delle patologie odontoiatriche severe: negli ultimi 8 anni siamo passati da isolati reports a migliaia di casi nella Letteratura internazionale. Trattasi di un evento avverso associato all'assunzione di farmaci con proprietà anti-riassorbitiva, quali i bisfosfonati (BP) e il denosumab o farmaci anti-angiogenetici; tale patologia si presenta tanto severa quanto disabilitante, ragione per la quale la comunità medica e odontoiatrica sta percependo la necessità di adottare e divulgare regole e protocolli per la tutela del diritto alla salute del paziente (Ministero Salute 2009). In quest' appendice, si è cercato di elaborare, con riferimento al paziente oncologico, una sintesi della patologia BRONJ e delle altre forme di ONJ, ad essa assimilabili per clinica e iter diagnostico-terapeutico, ma associate ad altri farmaci anti-resorptive o antiangiogenetici, di descriverne i fattori di rischio, di fornire informazioni sulla diagnosi e terapia; ampio spazio è stato riservato ai protocolli di prevenzione e di management odontoiatrico dei pazienti a rischio.

OSTEONECROSI DEI MASCELLARI ASSOCIATA A BISFOSFONATI - BRONJ

L'osteonecrosi dei mascellari associata a bisfosfonati (BRONJ) è stata definita come "una reazione avversa farmaco-correlata, caratterizzata dalla progressiva distruzione e necrosi dell'osso mandibolare e/o mascellare di soggetti esposti al trattamento con aminobisfosfonati, in assenza di un precedente trattamento radiante" (Bedogni, Fusco et al. 2012; Bedogni, Campisi et al. 2013 ). I bisfosfonati (BP), comunemente detti anche bifosfonati o difosfonati, sono un gruppo di farmaci impiegati nel trattamento di patologie che coinvolgono il sistema scheletrico: patologie oncologiche ed ematologiche (i.e. ipercalcemia maligna, metastasi ossee da tumori solidi di varia origine - carcinoma mammario, prostatico, renale - e mieloma multiplo) (Aapro, Monfardini et al. 2009; Terpos, Sezer et al. 2009) e patologie osteometaboliche benigne (i.e. osteoporosi e morbo di Paget). Gli amino-BP (NBP), in particolare, sono la classe di BP più comunemente utilizzata e associata a BRONJ dalla letteratura. Alla luce dei dati di letteratura, si può valutare che il rischio mediano di BRONJ dopo trattamento prolungato con NBP endovenoso in pazienti onco-ematologici possa oscillare tra 1% e 10% a 2 anni dall'inizio del trattamento (Bamias, Kastritis et al. 2005; Durie, Katz et al. 2005; Woo, Hellstein et al. 2006). Occorre considerare che il rischio risulta più 42 elevato per l'acido zoledronico rispetto al pamidronato (Vahtsevanos, Kyrgidis et al. 2009; Fusco, Loidoris et al. 2010) e maggiore, quanto più alta è la dose cumulativa di farmaco somministrato (Hoff, Toth et al. 2008; Vahtsevanos, Kyrgidis et al. 2009), seppur sono stati riportati anche casi di BRONJ ad esordio precoce, dopo poche somministrazioni (Abu-Id, Warnke et al. 2008). Inoltre, non è noto di quanto e se si riduca il rischio di sviluppare BRONJ dopo sospensione della terapia; in alcuni casi di pazienti lungo sopravviventi è stato, infatti, segnalato lo sviluppo tardivo di BRONJ (Del Conte, Bernardeschi et al. 2010). Ancora poco chiara è la patogenesi della BRONJ (Stockmann, Nkenke et al. 2013), sebbene probabilmente multifattoriale (Abu-Id, Acil et al. 2006; Abu-Id, Warnke et al. 2008; Wehrhan, Hyckel et al. 2011; Otto, Schreyer et al. 2012). L'inibizione dell'attività degli osteoclasti e osteoblasti causerebbe una compromissione del rimodellamento osseo (Wehrhan, Hyckel et al. 2011). Altro modello patogenetico ha suggerito che i BP potrebbero inibire l'angiogenesi nelle ossa mascellari e determinare una riduzione dell'assetto vascolare con danno alla microcircolazione, ischemia dell'osso e successiva necrosi avascolare (Rizzoli, Burlet et al. 2008). La suscettibilità (in termini di predisposizione genetica, disfunzione del sistema coagulativo) giocherebbe un ruolo fondamentale nell'insorgenza della BRONJ (Dannemann, Zwahlen et al. 2006; Khosla, Burr et al. 2007). Tra i fattori di rischio per l'insorgenza di ONJ individuati dalla comunità scientifica internazionale, seppur con differente robustezza, vengono annoverati quelli farmacocorrelati (Bamias, Kastritis et al. 2005; Woo, Hellstein et al. 2006; Hoff, Toth et al. 2008; Vahtsevanos, Kyrgidis et al. 2009; Fusco, Loidoris et al. 2010), le comorbidità (Khamaisi, Regev et al. 2006; Sawatari and Marx 2007; Junquera, Gallego et al. 2009; Urade 2009), i fattori locali (Ruggiero, Mehrotra et al. 2004; Marx, Sawatari et al. 2005; Badros, Weikel et al. 2006; Jeffcoat 2006; Hoff, Toth et al. 2008), sia le procedure odontoiatriche invasive che il perdurare di processi infettivi-infiammatori a carico dell'unità dento-parodontale.

OSTEONECROSI DEI MASCELLARI ASSOCIATA A DENOSUMAB O FARMACI ANTIANGIOGENETICI Recentemente la ONJ è stata osservata in pazienti oncologici anche in corso di terapie con altri farmaci anti-resorptive (i.e. denosumab) (Pichardo, Kuypers et al. 2012; Rachner, Platzbecker et al. 2013) o con anti-angiogenetici (Troeltzsch, Woodlock et al. 2012), quest'ultimi sia in combinazione con BP che senza l'uso concomitante di BP.

ONJ DA DENOSUMAB

Il denosumab è un anticorpo monoclonale umano indicato per il trattamento dell'osteoporosi post-menopausale (PMO) ad aumentato rischio di fratture, della perdita ossea nell'artrite reumatoide (AR), e, in caso di aumentato rischio di fratture, nella terapia ormonale ablativa in uomini con cancro alla prostata; agisce complessando il RANK-L o 43 (RANK Ligand), proteina che agisce come segnale primario nella promozione del riassorbimento osseo da parte degli osteoclasti, legandosi al recettore RANK. In numerose condizioni dove abbiamo perdita di massa ossea vi è uno squilibrio tra il RANKL (attivatore osteoclastico) che risulta aumentato e l' Osteoprotegerina (inibitore osteoclastico). Di recente, il denosumab è stato approvato ad un dosaggio maggiore (120 mg sottocute ogni 4 settimane), rispetto alle indicazioni precedenti in cui viene prescritto con un dosaggio di 60 mg, per un'altra indicazione d'uso, cioè per la prevenzione delle complicanze scheletriche delle metastasi ossee nel carcinoma mammario metastatico, nel carcinoma prostatico, nei pazienti con metastasi ossee da altri tumori solidi o mieloma (Lipton, Fizazi et al. 2012; Saad, Brown et al. 2012). In questi studi, l'incidenza dell'ONJ è risultata maggiore in misura non statisticamente significativa nei soggetti trattati con denosumab rispetto a quelli esposti ad acido zoledronico (1,8% versus 1,3%) e nella maggior parte dei casi di osteonecrosi, i pazienti che hanno ricevuto denosumab hanno avuto l'evento durante i primi due anni di trattamento (tempo mediano di trattamento prima dell'esordio di ONJ: 14 mesi). Quindi, per quanto riguarda il rischio di ONJ, esso appare non diminuito rispetto allo zoledronato, per cui è indicata la massima attenzione e sono raccomandate le misure di prevenzione adottate per i bisfosfonati.

ONJ DA FARMACI ANTI-ANGIOGENETICI

Nel biennio 2009-2010, due alert sono stati emessi dall'EMEA (ora EMA) e ripresi dall'AIFA, dopo la segnalazione ai sistemi di farmacovigilanza di alcuni casi di ONJ in pazienti trattati con due farmaci antiangiogenetici: 1) bevacizumab, autorizzato dalla U.E. nel 2005 per il trattamento di prima linea dei pazienti con tumore metastatico del colon o del retto, per il trattamento del carcinoma mammario metastatico, del tumore polmonare non-a-piccole cellule non-resecabile avanzato e metastatico o recidivante, del tumore a cellule renali avanzato e/o metastatico e del glioblastoma multiforme; 2) sunitinib, autorizzato dalla U.E. nel 2006 per il trattamento del tumore gastrointestinale stromale non-operabile e/o metastatico maligno dopo fallimento del trattamento con Imatinib, nel carcinoma a cellule renali avanzato/metastatico, e nei tumori pancreatici neuroendocrini ben differenziati non-resecabili o metastatici con progressione della malattia negli adulti. Nella maggior parte dei casi segnalati di ONJ da bevacizumab o sunitinib, è stato riportato il concomitante o precedente trattamento con bisfosfonati, oltre che la presenza di altri fattori di rischio per ONJ (e.g. radioterapia, glucocorticoidi, procedure chirurgiche dentoalveolari, scarsa igiene orale, fumo).

CLINICA E ITER DIAGNOSTICO DELLA ONJ

La definizione di ONJ associata a BP, estensibile anche all'ONJ da altri farmaci (denosumab o agenti anti-resorptive), è di reazione avversa farmaco-correlata caratterizzata dalla progressiva distruzione e necrosi dell'osso mandibolare e/o mascellare di soggetti esposti al trattamento con amino-bisfosfonati, in assenza di un precedente trattamento radiante" (Bedogni, Fusco et al. 2012; Bedogni, Campisi et al. 2013 ). La forma classica di ONJ, la prima che è stata descritta dalla letteratura, prevede l'esposizione cronica di osso necrotico (da almeno 8 settimane) (AAOMS, 2007); a questa forma classica, oggi, si accosta una forma non esposta, ampiamente registrata e riconosciuta dalla recente letteratura (Junquera and Gallego 2008; Fedele, Porter et al. 2010; Yarom, Fedele et al. 2010). Altri segni comunemente registrati sono: alitosi, ascesso odontogeno, asimmetria mandibolare, fistola mucosa, fistola extra-orale, mancata riparazione mucosa alveolare post-estrattiva, mobilità dentale a rapida insorgenza, mobilità preternaturale della mandibola, con o senza occlusione conservata, parestesia/disestesia delle labbra, fuoriuscita di liquidi dal naso, secrezione purulenta, sequestro spontaneo di frammenti ossei, trisma e tumefazione tessuti molli. Il dolore è un sintomo di frequente riscontro nei pazienti con ONJ (Miksad, Lai et al. 2011). Ciononostante, in un numero elevato di pazienti il dolore non sembra essere presente agli esordi della malattia (Ruggiero, Mehrotra et al. 2004; Ruggiero, Fantasia et al. 2006). In conclusione, l'esposizione di osso necrotico viene ad oggi riconosciuta come segno clinico maggiore e, quindi, tale da soddisfare la diagnosi di ONJ in presenza di anamnesi farmacologica positiva per BP; di recente, inoltre, si è proposto di utilizzare, a scopo diagnostico, anche l'insieme dei segni clinici minori e dei sintomi che da soli, o in associazione tra loro, devono far porre quanto meno il sospetto di malattia o la sua diagnosi differenziale (Bedogni, Fusco et al. 2012; Bedogni, Campisi et al. 2013 ). Quindi, la presenza di uno o più segni clinici minori o sintomi, in un paziente oncologico in trattamento corrente o pregresso con BP/anti-angiogenetici/denosumab, anche quando imputabili ad una causa dento-parodontale documentata, dovrebbe far porre il sospetto di malattia e indurre l'operatore a richiedere accertamenti radiologici per confermare o escludere il sospetto di malattia. La diagnosi di ONJ si basa esclusivamente su dati clinici e radiologici; l'accertamento bioptico andrebbe eseguito solo per dirimere il sospetto di metastasi in sede mandibolare/mascellare (Campisi, Di Fede et al. 2007). La variante esposta dell'ONJ, per definizione, è caratterizzata clinicamente dalla presenza di osso necrotico, con probabile esposizione attraverso la mucosa orale o pelle del viso. Si localizza più frequentemente nella mandibola (Filleul, Crompot et al. 2010). A parte l'esposizione ossea, segno clinico maggiore, potrebbe essere utile il riconoscimento di segni clinici minori e sintomi che da soli, o in associazione tra loro, devono indurre il sospetto di malattia o la sua diagnosi differenziale. La diagnosi radiologica di ONJ è molto complessa, per l'assenza di segni peculiari di malattia in tutte le principali metodiche d'indagine conosciute. Le tecniche radiologiche più utilizzate ad oggi nel porre il sospetto diagnostico di ONJ (indagini di primo livello) sono due: l'ortopantomografia (OPT) (Sanna, Preda et al. 2006; Mawardi, Treister et al. 2009) e le radiografie endorali, laddove la tomografia computerizzata (TC) (Aalen 1998; Chiandussi, Biasotto et al. 2006; Bianchi, Scoletta et al. 2007), indagine di secondo livello, ci permette di porre la diagnosi definitiva di ONJ. L'OPT è utile soprattutto perché offre una visione d'insieme dei mascellari e permette d'identificare grossolane alterazioni strutturali dell'osso (i.e. sequestri ossei, aree osteolitiche ed aree di osteosclerosi) sebbene in fase avanzata, mentre non è in grado di differenziare la natura delle lesioni stesse, soprattutto se isolate. Di conseguenza, le lesioni dell'ONJ possono essere frequentemente misconosciute all'OPT e non è possibile distinguere tra tessuto patologico e tessuto osseo sano. La TC, in particolare nella versione TC spirale, ha una risoluzione di contrasto maggiore rispetto alla radiografia convenzionale e fornisce informazioni dettagliate sul numero e sulla natura di eventuali lesioni osteolitiche ed osteosclerotiche presenti (Aalen 1998; Chiandussi, Biasotto et al. 2006; Bianchi, Scoletta et al. 2007); permette, inoltre, di indagare con precisione sia l'osso corticale che l'osso trabecolare. La TC offre una visione completa delle strutture ossee e permette di discriminare con buona approssimazione tra tessuto osseo sano e patologico, fornendo, in molti casi, informazioni utili sull'estensione del processo. La stadiazione di ONJ La prima classificazione in stadi di BRONJ, proposta nel 2007 dalla AAOMS, è stata dalla stessa modificata nel 2009 e, nel 2012, si propone da parte delle Società Scientifiche Italiane SICMF e SIPMO una nuova classificazione clinico-radiologica, che tiene in considerazione l' estensione radiologica della malattia (Bedogni, Fusco et al. 2012; Bedogni, Campisi et al. 2013 ). L'ulteriore suddivisione degli stadi 1 e 2 in asintomatico (a) e sintomatico (b) permetterebbe di definire meglio le necessità terapeutiche dei pazienti.

LA GESTIONE ODONTOIATRICA DEL PAZIENTE ONCOLOGICO CHE ASSUMERÀ O ASSUME BISFOSFONATI, DENOSUMAB E/O ANTI-ANGIOGENETICI

APPROCCIO PREVENTIVO

La prevenzione rimane l'approccio più significativo al fine di tutelare la salute orale del paziente che necessita dell'assunzione di bisfosfonati (BP) da soli o in combinazione con anti-angiogenetici, o di denosumab. Tra i fattori di rischio, i più significativi sono le procedure chirurgiche che coinvolgono le ossa mascellari (e.s. l'estrazione dentaria), le infezioni dento-parodontali ed i manufatti protesici rimovibili incongrui. Appare evidente come tali fattori siano di assoluta competenza degli operatori del settore odontoiatrico, per i quali si configura, quindi, un ruolo di primo piano nelle strategie di prevenzione della ONJ. Nella presente appendice, viene adottato il protocollo delle Società Scientifiche SICMFSIPMO (Campisi, Lo Russo et al. 2011; Bedogni, Fusco et al. 2012; Bedogni, Campisi et al. 2013 ) per la gestione odontoiatrica del paziente oncologico prima, durante e dopo il trattamento con BP in combinazione o no con anti-angiogenetici, ed esteso al paziente oncologico prima, durante e dopo il trattamento con denosumab o con anti-angiogenetici. Si devono tenere in considerazione le seguenti variabili:

• Tipologia di farmaco associato a ONJ. Amino-bisfosfonati (NBP) versus non amino-bisfosfonati; associazione o no con anti-angiogenetico; terapia con anti-angiogenetico; terapia con denosumab.

• Timing dell'azione odontoiatrica (subito prima o durante la terapia con farmaci suindicati). Amino-bisfosfonati (NBP) versus non amino-bisfosfonati. Gli amino-bisfosfonati (NBP) sono, ad oggi, l'unica classe di bisfosfonati per cui sia stata identificata un'associazione con lo sviluppo di BRONJ; pertanto, si ritiene che solo ad essi si debbano applicare le raccomandazioni seguenti, tese, per quanto possibile e nei limiti delle attuali evidenze, alla riduzione del rischio di insorgenza di BRONJ. Ad oggi, per i non aminobisfosfonati (i.e. non contenenti gruppi amminici) non occorre modificare il comportamento dell'odontoiatra e i normali protocolli di gestione della salute orale, dato che la ONJ è stata osservata in singoli e sporadici case report (Ruggiero, Dodson et al. 2009; Campisi, Lo Russo et al. 2011). Indicazione alla terapia con farmaci associati a ONJ I dati epidemiologici disponibili indicano un'associazione tra insorgenza di BRONJ e NBP ad elevata potenza somministrati per via endovenosa nel paziente oncologico (Bamias, Kastritis et al. 2005). Il paziente oncologico richiede un approccio preventivo prima dell'inizio e per tutta la durata della somministrazione di NBP, attraverso l'azione coordinata di diverse figure professionali tra cui l'oncologo (gestione della patologia oncologica), l'odontoiatra (gestione delle problematiche orali e loro prevenzione), e il medico curante e/o altri specialisti (gestione delle comorbidità). Di recente, la letteratura nazionale e internazionale, ha iniziato a occuparsi anche di ONJ in pazienti trattati con anti-angiogenetici (e.g. bevacizumab, sunitinib) insieme con NBP e (in rari casi) senza NBP; in particolare, sembrano in aumento i casi di ONJ tra i pazienti con carcinoma renale e metastasi ossee. Anche il denosumab, agente ad attività anti-riassorbitiva, è stato associato di recente all'insorgenza di ONJ in pazienti oncologici. L'incidenza dell'osteonecrosi della mascella è risultata maggiore, anche se in misura non statisticamente significativa, nei soggetti trattati con denosumab rispetto a quelli esposti ad acido zoledronico (1,8% versus 1,3%) e nella maggior parte dei casi di osteonecrosi, i pazienti che hanno ricevuto denosumab hanno avuto l'evento durante i primi due anni di trattamento (tempo mediano di trattamento prima dell'esordio di ONJ: 14 mesi)(Lipton, Fizazi et al. 2012; Saad, Brown et al. 2012). A fronte di questi dati emergenti, si ritiene che per queste nuove categorie di farmaci si debbano considerare estese, in applicazione del principio di precauzione, le raccomandazioni inizialmente ad appannaggio solo dei pazienti oncologici in terapia con NBP. Timing dell'azione odontoiatrica (subito prima o durante la terapia con farmaci associati a ONJ) nel paziente oncologico 1) Terapia farmacologica (con farmaci associati a ONJ) pianificata, ma non ancora iniziata Nei pazienti che devono iniziare l'assunzione dei farmaci relati al quadro di ONJ, l'odontoiatra, mediante esame obiettivo e valutazione radiologica, deve valutare attentamente lo status dento-parodontale, comprese le pregresse riabilitazioni protesiche. Eventuali problematiche in essere o condizioni di incertezza (e.g. denti con prognosi dubbia) devono essere prontamente ed opportunamente risolte, possibilmente prima dell'inizio della terapia, soprattutto se per cause oncologiche; inoltre, l'inizio della terapia dovrebbe essere procrastinato fino alla completa guarigione biologica dei tessuti orali (Dimopoulos, Kastritis et al. 2009; Ripamonti, Maniezzo et al. 2009), compatibilmente con la patologia di base che determina l'indicazione alla somministrazione del farmaco ed il giudizio critico del clinico che li prescrive. In altre parole, secondo le Raccomandazioni del Ministero del Lavoro, della salute e delle Politiche Sociali (MinisteroSalute 2009), prima di iniziare la somministrazione di NBP per patologie oncologiche il paziente deve essere riferito all'odontoiatra, che deve provvedere alla valutazione della salute orale, previa OPT, al trattamento di patologie locali, se necessario, ed all'istituzione di un adeguato programma di prevenzione e mantenimento della salute orale. 2) Somministrazione di farmaci associati a ONJ in atto o conclusa I pazienti che già assumono questi farmaci devono essere inseriti in un idoneo programma di prevenzione dento-parodontale e/o terapia parodontale di supporto in modo da minimizzare il rischio d'insorgenza di patologie dentarie o problematiche parodontali/periimplantari, e controllare efficacemente quelle in atto. A tal proposito, i pazienti devono eseguire controlli periodici con una frequenza non inferiore a quella normalmente consigliata nei programmi di prevenzione orale e mantenimento parodontale nella popolazione generale, il che, a seconda dello status dento-parodontale e dell'età del paziente, comporta l'effettuazione della rivalutazione del paziente ogni quattro o sei mesi (Renvert and Persson 2004; Tezal, Wactawski-Wende et al. 2005). Le riabilitazioni protesiche vanno inserite metodicamente nelle rivalutazioni periodiche; in particolare, quelle di tipo rimovibile devono essere monitorate al fine di verificare e rimuovere eventuali traumi sulla mucosa (in particolare nella regione linguale e posteriore della mandibola). In letteratura, è stata documentata una correlazione positiva tra durata di esposizione, in particolare agli NBP, e rischio di BRONJ (Bamias, Kastritis et al. 2005). Si ritiene importante sottolineare che l'attività di prevenzione primaria della ONJ, per quanto limitata al semplice controllo dei fattori di rischio noti, deve essere condotta sia durante la pianificazione della terapia che in corso di terapia con farmaci associati a ONJ, anche in assenza di eventi avversi al cavo orale. In entrambi i casi, l'obiettivo dell'attività di prevenzione è quello di mantenere e/o rispristinare lo stato di salute dento-parodontale del paziente in modo da ridurre la possibilità che si realizzino eventi infiammatori/infettivi e si rendano, perciò, necessarie procedure invasive (Ruggiero, Dodson et al. 2009): entrambi, eventi infiammatori/infettivi e procedure chirurgiche, sono i principali fattori di rischio locali per la ONJ per i quali il paziente deve essere informato del rischio di ONJ e reso edotto delle sue manifestazioni in modo da poter allertare tempestivamente il medico/odontoiatra curante e consentire, così, una diagnosi precoce (Khan, Sándor et al. 2008).

SOSPENSIONE DEI FARMACI ASSOCIATI A ONJ PRIMA E DURANTE LE PROCEDURE ODONTOIATRICHE INVASIVE

E' stata segnalata, in letteratura, la possibilità di sospendere la terapia farmacologica, in particolare nel caso degli NBP, circa 3 mesi prima di una procedura terapeutica o elettiva invasiva, compatibilmente con la patologia di base e previo accordo con il medico curante (cosiddetta "drug holiday"), per poi riprenderla una volta terminato il processo biologico di guarigione dei tessuti (minimo 4-6 settimane dopo). Non esiste, ad oggi, alcuna evidenza scientifica che supporti la validità della sospensione della terapia, sia endovenosa o orale, prima delle procedure di chirurgia dento-alveolare. L'emivita piuttosto lunga degli NBP comporta un effetto d'inibizione sulla funzione osteoclastica di durata non prevedibile; i loro effetti a livello osseo possono essere molto prolungati nel tempo, anche dopo una singola somministrazione. La sospensione della terapia potrebbe essere associata ad una riduzione dell'effetto anti-angiogenetico esercitato dagli NBP sul periostio e i tessuti molli contribuendo, potenzialmente, a migliorare la vascolarizzazione e a condurre una guarigione più rapida dopo le manovre chirurgiche. Nel paziente oncologico in terapia endovenosa con NBP, la sospensione del farmaco, il cui tropismo favorisce siti ad elevato rimodellamento osseo, potrebbe essere consigliata il mese successivo all'estrazione (fino completa riepitelizzazione del sito estrattivo), per ridurre l'accumulo di NBP in sede di trauma estrattivo (Saia, Blandamura et al. 2010). Comunque, l'eventuale decisione sulla sospensione della terapia deve essere sempre presa in accordo con l'oncologo o l'internista dopo un'attenta valutazione dei rischi e della condizione di base del paziente. Nel paziente oncologico che assume NBP per via endovenosa, la sospensione rappresenta in ogni caso una procedura ad elevato rischio per la progressione della patologia di base o per il mancato controllo degli eventi ossei correlati. Poiché sono noti gli effetti benefici degli NBP sul controllo della malattia di base e sulle relative complicanze, mentre sono dubbi i risultati della loro sospensione ai fini di ridurre il rischio di BRONJ, si deve sempre informare il paziente sulla scarsa predicibilità dell'effetto sospensivo (Borromeo, Tsao et al. 2011) e sul possibile rischio connesso al peggioramento del compenso metabolico dell'osso. Non si registrano dalla letteratura studi in merito alla procedura di drug holiday per gli anti-angiogenetici o il denosumab al fine di ridurre il rischio di ONJ.

PROCEDURE ODONTOIATRICHE NEI PAZIENTI ONCOLOGICI

CHIRURGIA DENTO-ALVEOLARE, CHIRURGIA PRE-IMPLANTARE e CHIRURGIA MUCOGENGIVALE

Per i pazienti trattati con NBP o altri farmaci associati a ONJ per indicazioni oncologiche il rischio di sviluppare osteonecrosi delle ossa mascellari a seguito di avulsioni dentarie è aumentato fino a 53 volte (Kyrgidis, Vahtsevanos et al. 2008). Per tale motivo, nella maggior parte delle pubblicazioni degli ultimi anni le procedure di chirurgia orale interessanti l'osso e in particolar modo le estrazioni dentarie erano ritenute controindicate in tali pazienti. Tuttavia, vista la partecipazione dei meccanismi infiammatori-infettivi nella genesi dell'ONJ, di recente si è affermato il principio che la mancata effettuazione di procedure terapeutiche invasive, finalizzate all'eliminazione di processi infiammatori/infettivi (e.g. quelli associati ad elementi dentari compromessi o non recuperabili), aumenterebbe essa stessa il rischio di ONJ più che l'esecuzione delle terapie stesse. 52 La somministrazione di antibiotici sistemici ed antisettici orali in fase pre- e/o postchirurgia, l'esecuzione di procedure estrattive atraumatiche e la mobilizzazione di lembi mucoperiostei per la chiusura primaria del sito chirurgico rappresentano, ormai, procedure standard di sicurezza in pazienti oncologici in trattamento con farmaci associati a ONJ. Per quanto riguarda il tipo di antibiotico e la durata della sua somministrazione, sono diversi i protocolli proposti (Montefusco, Gay et al. 2008; Lodi, Sardella et al. 2010; Ferlito, Puzzo et al. 2011; Scoletta, Arduino et al. 2011; Scoletta, Arata et al. 2013). In generale, sono stati utilizzati antibiotici ad ampio spettro, in particolare amoxicillina (1g, 3 volte/die) con o senza acido clavulanico, anche in associazione a metronidazolo (500mg, 2 volte/die) o, in caso di allergia alle penicilline, eritromicina (600 mg, 3 volte/die) clindamicina (600mg, 2 volte/die) o ciprofloxacina (500mg, 2volte/die). In relazione alla durata della somministrazione preoperatoria, alcuni reports indicano migliori risultati in caso di terapie antibiotiche preoperatorie prolungate (3-4 settimane) (Hoefert and Eufinger 2011), mentre altri evidenziano buoni risultati con terapie antibiotiche preoperatorie brevi [iniziate tre giorni (Lodi, Sardella et al. 2010), o 1 giorno (Scoletta, Arduino et al. 2011) prima dell'estrazione] o con terapie iniziate il giorno stesso dell'estrazione (Saia, Blandamura et al. 2010). L'esecuzione di procedure di igiene orale professionale eseguite due o tre settimane prima dell'intervento ed associate all'uso quotidiano di collutorio alla clorexidina sembrano aumentare ulteriormente il livello di efficacia delle procedure terapeutiche invasive (Lodi, Sardella et al. 2010; Scoletta, Arduino et al. 2011). La prosecuzione postoperatoria della terapia antibiotica nei protocolli citati è stata riportata in un range da 5 giorni (Ferlito, Puzzo et al. 2011; Scoletta, Arduino et al. 2011) a 17 giorni (Lodi, Sardella et al. 2010). La rimozione del tessuto di granulazione all'interno dell'alveolo e la chiusura primaria del sito estrattivo ottenuta con la mobilizzazione di lembi mucoperiostei sono consigliate in tutti i principali protocolli pubblicati e rappresentano, probabilmente, il fattore decisivo per la riduzione del rischio di ONJ dopo estrazione dentaria. Quindi, la chirurgia dento-alveolare è indicata ed eseguibile senza modifiche dei normali protocolli prima di iniziare la somministrazione di farmaci associati a ONJ anche in soggetti affetti da patologie oncologiche a patto che sia possibile attendere la completa guarigione biologica del sito estrattivo (normalmente 4-6 settimane) prima della terapia farmacologica. L'esecuzione di chirurgia pre-implantare e di chirurgia muco-gengivale è controindicata nel paziente oncologico che abbia iniziato o debba iniziare il trattamento con farmaci associati a ONJ

IMPLANTOLOGIA

L'assunzione di farmaci associati a ONJ per motivi oncologici, indipendentemente dalla durata di somministrazione, rappresenta una controindicazione assoluta all'implantologia in corso di terapia, ma anche dopo cessazione della stessa; essendo una procedura chirurgica invasiva, l'implantologia sarebbe fattore precipitante per l'ONJ, verosimilmente a causa delle condizioni locali o sistemiche del paziente che favorirebbero l'insorgenza di una peri-implantite.

CHIRURGIA PARODONTALE, CHIRURGIA ENDODONTICA e CHIRURGIA ESTETICA MUCO-GENGIVALE
La chirurgia parodontale e la chirurgia endodontica che abbiano come finalità l'eliminazione di significativi processi infiammatori-infettivi in atto nelle ossa mascellari sono indicate anche durante il trattamento farmacologico, preferendo, tuttavia, tecniche chirurgiche con minima manipolazione ossea, e adottando protocolli di profilassi antibiotica indicati a proposito della chirurgia dento-alveolare. Sarebbe preferibile che le procedure terapeutiche invasive siano predisposte prima dell'inizio della terapia con farmaci associati a ONJ, attendendo la guarigione biologica dei tessuti (minimo 4-6 settimane). Se l'inizio della terapia farmacologica non fosse procrastinabile, è consigliabile valutare soluzioni alternative come la chirurgia estrattiva. Le procedure di elezione invasive (chirurgia estetiche muco-gengivale) sarebbero, invece, da ritenersi prudenzialmente sempre controindicate nel paziente oncologico prima, durante e dopo il trattamento con farmaci associati a ONJ.

CONSERVATIVA ed ENDODONZIA

Per ovviare alle estrazioni dentarie, è fortemente consigliata la cura di denti molto compromessi, se con prognosi positivamente predicibile (Pemberton, 2010). Sebbene, attualmente i casi di osteonecrosi insorti in coincidenza di terapia canalare siano pochissimi e di dubbia interpretazione (Sarathy, Bourgeois et al. 2005; Fugazzotto and Lightfoot 2006), il rischio di ONJ potrebbe essere più elevato a seguito di complicanze o errori procedurali durante l'esecuzione della terapia endodontica(Dumlu, Yalcinkaya et al. 2007) (Ozmeric 2002; Walters and Rawal 2007), oltre che per l'applicazione dell'uncino della diga di gomma durante le cure (Gallego, Junquera et al. 2011). In tutte le raccomandazioni pubblicate in letteratura, viene promossa la terapia endodontica ortograda (Kyrgidis, Arora et al. 2010; McLeod, Patel et al. 2010), ma, nei pazienti oncologici defedati, affetti da mieloma multiplo o metastasi ossee al rachide, l'estrema difficoltà a mantenere la posizione seduta o declive per lungo tempo e l'impedimento ad applicare la diga per la presenza di nausea e vomito, rappresenterebbero gravi limitazioni alla corretta procedura endodontica.

TERAPIA PARODONTALE (IGIENE e TERAPIA CAUSALE)

Per i pazienti oncologici, la parodontopatia è considerata un fattore di rischio rilevante per la ONJ; è, quindi, indispensabile mantenere lo stretto controllo delle condizioni di igiene/salute orale con richiami periodici da eseguire ogni quattro mesi. La terapia della 54 parodontopatia, mediante la terapia causale (non chirurgica), deve mirare alla stabilizzazione delle condizioni parodontali e all'eliminazione di focolai infiammatori-infettivi; se dalle rivalutazioni periodiche dovessero emergere problematiche residue e/o altre necessità terapeutiche (i.e. procedure chirurgiche invasive), queste devono essere praticate con estrema cautela.

ORTODONZIA

Nei pazienti oncologici, si raccomanda di considerare con cautela il trattamento ortodontico poichè la terapia può determinare un aumento considerevole del turn over osseo lì dove esiste un accumulo del farmaco. Tuttavia, non esistano studi che attribuiscano un rischio specifico. A causa del decremento dell'attività osteoclastica, la comparsa di condizioni quali, parodontopatia, trauma occlusale, accumulo di placca e tartaro con flogosi gengivale (Fujimura, Kitaura et al. 2009; Zahrowski 2009), rappresenterebbero possibili fattori di rischio riconosciuti per le ONJ. Si raccomanda, dunque, di considerare con cautela il trattamento ortodontico nei pazienti sottoposti ad alte dosi e a terapie prolungate. Nel caso in cui il paziente oncologico non fosse nelle condizioni di potere sospendere il farmaco, e per ovviare alla più traumatica estrazione dentaria (Regev, Lustmann et al. 2008), sarebbe adottabile l'estrusione ortodontica di radici o denti irrecuperabili fino alla loro graduale esfoliazione. Tale tecnica risulta, tuttavia, difficile da adattare a pazienti anziani ed oncologici che mostrano una scarsa compliance per le frequenti visite e sedute odontoiatriche e diventa inattuabile in caso di edentulismo parziale nelle aree limitrofe all'elemento da estrarre per l'ovvia impossibilità di applicare le trazioni ortodontiche (Vescovi and Nammour 2010).

PROTESI

E' indispensabile porre estrema attenzione, nel caso di protesi rimovibili, al potenziale trauma sulle mucose orali causato dalla compressione delle basi protesiche, per cui le figure sanitarie coinvolte (i.e. odontoiatra e igienista dentale) hanno un ruolo fondamentale nella prevenzione e nell'intercettazione di lesioni mucose, spesso asintomatiche o paucisintomatiche (Kyrgidis, Teleioudis et al. 2010).