Laser-Terapia e Laser-Chirurgia in Odontoiatria

Già nel 1917 Albert Einstein, con la teoria dell'"emissione stimolata" che è alla base dei processi di amplificazione e oscillazione molecolare e quindi dei fenomeni d'interazione tra luce e materia, definì le basi per la realizzazione di quella che più tardi sarebbe stata una tecnologia rivoluzionaria, il LASER, dall'acronimo di Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation. La creazione del laser fu preceduta di qualche anno (1954) da quella di un altro strumento, il MASER (Microwave Amplification by Stimulated Emission of Radiation), a tutti gli effetti precursore e con applicazione pratica nel miglioramento dei sistemi di comunicazione, in particolare nella navigazione, a opera di Schawlow e Townes, insigniti per questa invenzione del Nobel per la Fisica nel 1981. Fu poi Theodor Maiman, nel 1960, a realizzare la prima apparecchiatura laser, un rubino pulsato. Da allora l'evoluzione tecnologica di questi dispositivi è avvenuta in modo estremamente rapido, tanto che ai giorni nostri il laser trova applicazione in numerosi campi: dalla medicina all'industria, al militare, alle comunicazioni. Oltre alla cosiddetta emissione spontanea ove non è presente una correlazione spazio-tempo, Einstein descrisse un tipo di emissione detta "stimolata" caratterizzata dalla produzione di due fotoni identici anziché del solo fotone prodotto con l'emissione spontanea. Per ottenere una reale amplificazione della luce il numero di atomi in stato eccitato deve essere maggiore del numero di atomi nello stato fondamentale: solo quando questa "inversione di popolazione" viene realizzata attraverso un sistema di pompaggio, l'emissione stimolata può avvenire con il fenomeno dell'amplificazione. Per produrre un'emissione laser è necessaria la presenza di almeno tre livelli energetici (Ground State, o GS, N1 ed N2) dove il sistema di pompaggio crei un'eccitazione nel passaggio dallo stato fondamentale GS al livello energetico N2 dal momento che il decadimento da N1 allo stato fondamentale risulta particolarmente veloce; il passaggio N1-N2 è invece uno stato metastabile di lunga durata. Una sorgente laser è costituita da tre elementi fondamentali ovvero un mezzo attivo, una cavità ottica e un sistema di pompaggio.

Mezzo attivo. Consiste in una serie di atomi o molecole che, eccitati, danno luogo al fenomeno dell'inversione di popolazione e quindi a un'emissione stimolata. Il mezzo attivo può essere solido, liquido o gassoso ed è l'elemento determinante la lunghezza d'onda del laser: in odontoiatria i laser con mezzo attivo solido sono costituiti da un cristallo di ittrio alluminio granato in cui una piccola porzione di molecole è sostituita da elementi del gruppo delle terre rare quali erbio (Er) o neodimio (Nd), da cui i nomi convenzionali Er:YAG e Nd:YAG. Un interessante esempio di laser a mezzo attivo gassoso è il laser a CO2 proposto per l'odontoiatria da Frame nel 1980. Ai laser sopraccitati va aggiunto l'ulteriore gruppo dei laser a diodi o semiconduttori, particolarmente diffusi per vantaggi quali le ridotte dimensioni, i costi contenuti e la facile manutenzione.

Cavità ottica o camera di Fabry-Perot. E' costituita da due specchi paralleli, uno riflettente al 100%, l'altro al 95%, all'interno della quale si trova il mezzo attivo. I fotoni, rimbalzando sugli specchi, attraversano più volte il materiale attivo stimolando più emissioni e uscendo, quindi, attraverso lo specchio non totalmente riflettente.

Sistema di pompaggio. Fornisce energia agli atomi o alle molecole del mezzo attivo per provocare l'inversione di popolazione, ossia il mantenimento di un maggiore numero di atomi in stato eccitato comparato al cosiddetto "ground state" o stato basale. Può essere di tre tipi: pompaggio ottico mediante lampada a gas xenon, lampada flash o altro laser; pompaggio elettrico, ovvero mediante l'uso di una scarica elettrica. È utilizzato con laser in cui il mezzo attivo sia un gas; pompaggio chimico, cioè mediante l'uso di una reazione chimica.

PROPRIETÀ DELLA LUCE LASER

La luce laser possiede caratteristiche peculiari che la differenziano dalla luce ordinaria quale la luce solare o quella di una lampada a incandescenza, in particolare monocromaticità, coerenza, collimazione e brillanza.

Monocromaticità. Il laser possiede soltanto una lunghezza d'onda, quindi una sola frequenza di vibrazione e un solo colore caratteristico del mezzo attivo che l'ha prodotto . La luce ordinaria invece può essere scomposta in uno spettro di colori. Questa caratteristica spiega come mai, talvolta, si identifichino i laser con la lunghezza d'onda anziché con il mezzo attivo (per esempio, Er:YAG o 2.940 nm).

Coerenza. Tutti i fotoni vibrano in concordanza di fase, nello spazio e nel tempo, secondo la teoria dell'emissione stimolata di Einstein, a differenza della luce ordinaria in cui i fotoni si muovono in modo casuale senza coerenza di fase o direzione.

Collimazione. La radiazione esce dal laser in una direzione certa e si diffonde con un angolo di divergenza molto piccolo (nell'ordine dei milliradianti).

Brillanza. Detta anche radianza, è la potenza emessa dall'unità di superficie sotto un angolo solido unitario d'osservazione ed è misurata in W/m2 /sr. Al momento attuale nessun'altra apparecchiatura permette di ottenere intensità così elevate: si consideri, per esempio, che un laser HeNe (elio-neon) possiede una brillanza pari a 300 volte quella del sole.

PARAMETRI DEL RAGGIO LASER

Lunghezza d'onda

Dipende dal mezzo attivo e rappresenta la periodicità spaziale, per questo è espressa in nanometri (nm): le lunghezze d'onda utilizzate in odontoiatria variano dai 400 nm circa dei laser visibili nel blu-viola ai 10.600 nm del laser CO2 nell'area dello spettro elettromagnetico che include la luce visibile (400-780 nm) e la luce infrarossa (> 780 nm).

Frequenza

Per i laser che lavorano in modalità pulsata rappresenta il numero di impulsi al secondo ed è espressa in hertz (Hz).

Potenza

Rappresenta il lavoro di un laser ed è espressa in watt (W). La potenza di picco è il massimo di potenza ottenibile in un impulso. La potenza media per i laser pulsati rappresenta la media tra i periodi in cui il laser emette e i periodi di pausa tra un impulso e l'altro.

Energia

È il prodotto della potenza per il tempo ed è espressa in joule (J = W · sec).

Fluenza o densità di energia

È l'energia per area di applicazione ed è espressa in J/cm2 . È un parametro particolarmente importante in quanto capace di descrivere in modo completo un trattamento laser e di comparare diversi device (differenti durate di impulso, differenti manipoli...).

SISTEMI DI TRASMISSIONE

Sono identificati con questo termine i sistemi deputati al trasporto della luce laser dalla cavità ottica al target, nel caso specifico al cavo orale, sistemi con le caratteristiche ideali della minor perdita possibile di energia associata alla maggiore flessibilità del sistema.

Lenti fisse

Come suggerisce il nome stesso si tratta di una serie di lenti fissate su un supporto rigido, in un sistema altamente efficiente ma poco flessibile, motivo per cui l'unico utilizzo in campo odontoiatrico è nell'ambito della saldatura.

Bracci articolati

Migliore in flessibilità rispetto alle lenti fisse, è un sistema caratterizzato da una serie di tubi connessi da una serie di specchi e da un'efficienza pari a circa il 90%.

Fibre cave

Sono tubi flessibili con una superficie interna riflettente che rende il sistema particolarmente libero nei movimenti. Le fibre cave risultano tuttavia caratterizzate da due svantaggi, ossia la perdita di energia nel momento in cui il tubo viene piegato e la durata limitata. Fibre ottiche

Sono guide d'onda costituite da due parti, una esterna o "cladding" e una interna o "core", con indici di rifrazione diversi. Sono frequentemente in quarzo, hanno alta flessibilità e un diametro variabile da 200 a 900 µm. Il principale svantaggio è l'efficienza relativamente bassa, soprattutto per lunghezze d'onda affini all'acqua quali l'Er:YAG.

MODALITÀ DI EMISSIONE

I laser possono emettere energia in due differenti modalità: continua (o Continuous Wave, CW) o pulsata (o Pulsed mode)

Nel caso della modalità continua il raggio è emesso senza interruzioni, in modo continuo appunto, mantenendo la potenza a un livello costante cosicché potenza di picco e potenza media coincidono. La modalità pulsata è tale per cui i periodi di emissione della luce laser sono alternati a periodi di interruzione dell'emissione, cosicché la potenza di picco è sempre maggiore della potenza media e risulta controllabile l'incremento di temperatura del tessuto target del tessuto target. In tale modalità, nel periodo di non emissione si verifica il cosiddetto fenomeno del rilassamento termico. Il rapporto tra periodo di lavoro e periodo di pausa è chiamato "duty cycle". Mentre lunghezze d'onda quali Er:YAG o Nd:YAG possono emettere solamente in modalità pulsata, altre, quali il laser CO2 , possono emettere in entrambe le modalità a discrezione dell'operatore. Erroneamente si utilizza spesso il termine "modalità pulsata" per i laser a diodi: in questo caso la modalità di emissione, più correttamente definita "chopped" o interrotta, è legata all'interruzione di una modalità pulsata tramite appositi dispositivi (dischi o chopper). Esistono, poi, due ulteriori modalità di emissione: la modalità "Q-switched", che utilizza un dispositivo (specchio rotante, interruttori...) capace di aprirsi quando venga accumulato un altissimo numero di fotoni, e la modalità "locked", che sfrutta modalità di oscillazioni trasverse nella cavità di Fabry-Perot.

INTERAZIONI LASER-TESSUTI

La luce laser, come qualsiasi tipo di luce, nel momento in cui incontra un oggetto o un tessuto va incontro a quattro possibili interazioni:

trasmissione: la luce passa attraverso la materia senza interazioni con essa. È un'interazione lunghezza d'onda dipendente;

assorbimento: la luce viene catturata dalla materia in modo correlabile alla lunghezza d'onda e al coefficiente di assorbimento del tessuto. È l'interazione più importante per procedure terapeutiche o diagnostiche e dipende principalmente dai cromofori tessutali quali acqua, melanina ed emoglobina; l'energia laser viene trasformata in calore definendo differenti gradi di danno termico ovvero ipertermia (42 - 45 °C), riduzione dell'attività enzimatica e denaturazione proteica (50-60 °C), disidratazione (100 °C), vaporizzazione e carbonizzazione (> 100 °C), termoablazione e fotoablazione (300-1.000 °C). La maggior parte delle molecole organiche ha un alto livello di assorbimento per i raggi ultravioletti. Melanina ed emoglobina hanno un alto indice di assorbimento delle radiazioni blu, verdi e gialle. Il rosso e l'infrarosso vicino hanno una penetrazione in profondità nei tessuti. Acqua e idrossiapatite hanno un assorbimento maggiore per i medi infrarossi.

diffusione (scattering): il raggio si propaga in tutte le direzioni ed è inversamente proporzionale alla quarta potenza della lunghezza d'onda. La diffusione dei fotoni è caratterizzata da un cambio di direzione di propagazione nelle aree adiacenti all'area laserizzata senza perdita di energia. La diffusione è il modo in cui la luce interagisce con il materiale nel quale la direzione del raggio incidente viene cambiata dalle particelle che esso incontra passando attraverso il materiale stesso. La diffusione svolge un ruolo importante nella distribuzione spaziale dell'energia assorbita;

riflessione: il raggio raggiunge la superficie ed è riflesso da questa in modo proporzionale all'angolo di incidenza. Una precisa conoscenza della riflettività dei tessuti è molto importante soprattutto quando questa ha un valore elevato. La riflessione dipende dalla composizione chimica del mezzo: nelle superfici metalliche questo potere è molto elevato. I raggi laser riflessi possono provocare danni alla cute e soprattutto agli occhi: per tale ragione l'uso di occhiali protettivi con lenti schermanti è obbligatorio per paziente, operatore e personale. L'interazione delle diverse lunghezze d'onda con i tessuti varia a seconda della natura di questi (mucosa, osso, smalto, dentina), del loro grado di idratazione e di vascolarizzazione, dell'affinità e del coefficiente di assorbimento.

Le interazioni laser-tessuti possono scaturire da differenti effetti:

fotochimici: provocano una fotoattivazione di reazioni biochimiche e hanno luogo nel momento in cui l'energia dei fotoni è superiore all'energia dei legami chimici. Questi effetti consentono applicazioni cliniche quali la LLLT (Low Level Laser Therapy) o biomodulazione laser, in cui l'utilizzo a basse potenze è in grado di produrre un'azione biostimolante, antalgica, antinfiammatoria e miorilassante, e la terapia fotodinamica (Photodynamic Therapy, PDT) per applicazioni antimicrobiche o antitumorali;

fototermici: comuni a tutte le lunghezze d'onda, si basano sulla conversione della radiazione ottica in energia termica. Sono effetti conseguiti solitamente con densità di potenza nell'ordine dei 100 W/cm2 ottenuta per irraggiamento con laser impulsati di durate superiori ai microsecondi o con laser in modalità continua. In genere diversi effetti termici si producono contemporaneamente nel tessuto biologico in relazione ai parametri laser impiegati. Gli effetti fototermici permettono di incidere, vaporizzare, modellare e coagulare, tenendo conto della diffusione che questi effetti hanno nei tessuti in modo dipendente dal tipo di laser e dalle caratteristiche di affinità possedute dalla lunghezza d'onda. I laser con lunghezza d'onda nello spettro del visibile e negli infrarossi vicini quali laser ad argon, KTP, diodo e Nd:YAG, vengono ben assorbiti da cromofori quali emoglobina e melanina. I laser appartenenti alla porzione dell'infrarosso medio e lontano quali laser Er,Cr:YSGG, Er:YAG e CO2 hanno, invece, spiccata affinità per acqua e idrossiapatite. I primi vengono utilizzati prevalentemente sui tessuti molli (incisione, vaporizzazione e coagulazione), mentre i secondi trovano impiego sia sui tessuti duri (ablazione) sia sui tessuti molli (incisione e vaporizzazione del contenuto in acqua), ma con minore effetto emostatico, per la mancanza di affinità con l'emoglobina.

Il laser nella chirurgia dei tessuti molli orali

Nella chirurgia dei tessuti molli, a prescindere dallo strumento chirurgico utilizzato, si va a interagire con elementi quali: il collagene, l'acqua, il tessuto connettivo pigmentato, i vasi sanguigni e linfatici. In ognuno di questi sistemi si trovano dei cromofori che sono i bersagli delle lunghezze d'onda dei laser commercialmente disponibili in odontoiatria, con i quali interagiscono in misura variabile. Si può così sfruttare vantaggiosamente questa peculiarità del laser dalla quale derivano i maggiori benefici clinici anche in campo chirurgico: l'eliminazione o riduzione dell'impiego di anestetico locale, un'agevole incisione dei tessuti molli anche di dimensioni notevolmente piccole, il minimo o ridotto traumatismo degli stessi, l'assenza di sanguinamento con conseguente possibilità di non apporre suture, la decontaminazione del sito chirurgico durante il trattamento, la diminuzione del gonfiore e del dolore postoperatorio con limitata formazione di tessuto cicatriziale. Inoltre, non si può trascurare il favore da parte del paziente che, una volta a conoscenza dei vantaggi derivanti dall'impiego di questa tecnologia, la accetta volentieri. Di fondamentale importanza è ricordare che gran parte dei vantaggi elencati deriva dall'interazione luce laser-tessuto bersaglio: quest'ultimo presenta un cromoforo predominante in grado di assorbire l'energia luminosa nella lunghezza d'onda che andremo a impiegare. Occorre quindi che la scelta del tipo di apparecchio utilizzato, anche in ambito chirurgico, sia corretta in relazione al tessuto bersaglio e anche ponderata nella scelta dei parametri impostati.

Considerati i vantaggi che si possono trarre dall'impiego del laser, si possono agevolmente eseguire: incisione d'accesso per interventi chirurgici di varia natura (estrazione o scappucciamento di elementi inclusi, prelievo e preparazione del sito per innesti ecc.); asportazione di cisti e di neoformazioni a carico dei tessuti molli; frenulectomie; vestiboloplastiche; gengivectomie; gengivoplastiche; incisione e drenaggio di ascessi; allargamento del solco gengivale. Nella maggior parte dei casi la punta del laser agisce in stretta vicinanza con il tessuto su cui si lavora o appena poco distante dal contatto con la superficie stessa. In questo modo l'energia è in grado di incidere l'area, minimizzando l'accumulo di detriti sulla punta che, se non tempestivamente e accuratamente rimossi, possono alterare la corretta interazione luce laser-tessuto. Uno degli effetti che si vogliono evitare è infatti il potenziale danno termico, che dipende anche dai parametri impostati tra i quali la lunghezza d'onda, la densità di potenza e la fluenza. Una volta iniziata l'incisione del tessuto, così come si procede nel taglio, se si impiegano lunghezze d'onda (blu e verde) che hanno come cromoforo target l'emoglobina si otterrà il sigillo dei vasi sanguigni di piccolo e medio calibro, che consentirà di ridurre o eliminare il sanguinamento intraoperatorio. Il temporaneo e controllato aumento termico locale permette inoltre di sigillare i piccoli vasi linfatici, così da minimizzare l'edema postoperatorio. Si ricordi comunque che un riscaldamento del tessuto superiore a 60 °C comporta la denaturazione proteica e la coagulazione dei tessuti, processi chiave nel controllo dell'emorragia. A tal fine è possibile anche sfruttare il calore portato sulla punta della fibra (hot tip), che converte l'energia luminosa in energia termica, limitando la penetrazione della luce nei tessuti; si deve tuttavia porre estrema attenzione nell'evitare possibili danni termici da eccessiva ripetizione degli impulsi. L'impiego di refrigeranti di superficie (acqua o soluzione fisiologica) può aiutare a ridurre la temperatura superficiale e a minimizzare il surriscaldamento tessutale, senza inficiare l'effetto di coagulazione desiderato. L'assenza di sanguinamento permette di ridurre significativamente il disagio postoperatorio e, laddove non indicata per altri motivi, l'assenza di punti di sutura consente una guarigione per seconda intenzione che riduce al minimo il rischio di distorsione anatomica. Inoltre, studi preclinici con lunghezze d'onda nel lontano infrarosso mostrano che vi è un ridotto posizionamento di fibroblasti lungo la linea di incisione e da ciò consegue una ridotta contrazione del tessuto in via di guarigione. Studi effettuati riguardo alla guarigione postoperatoria hanno altresì dimostrato che, in caso di utilizzo del laser, la proliferazione cellulare di fibroblasti e cheratinociti così come la produzione e il rilascio di fattori di crescita nel sito chirurgico erano maggiori rispetto a quanto osservato a seguito dell'uso di altre metodologie. Tali risultati sono spesso confermati in ambito clinico. Le proteine denaturate all'interno dei tessuti e del plasma danno luogo a un coagulo composto da uno strato tenace, in grado di proteggere la ferita chirurgica dall'azione traumatica o batterica. Clinicamente, dopo 48-72 ore dall'intervento chirurgico questo strato, grazie all'effetto idratante della saliva, viene dissolto rivelando uno strato composto da nuovo tessuto in via di guarigione e riorganizzazione. Da non alla tipologia di laser utilizzato e dopo averne correttamente impostato la potenza, è noto che la penetrazione della luce nei tessuti molli varierà dai decimi di millimetro fino a qualche millimetro. Riguardo alla potenza impostata, questa deve essere la minima in grado di ottenere l'effetto voluto anche considerando di fornire un adeguato tempo di rilassamento termico ai tessuti, modulabile regolando i parametri "t-on" e "t-off", così da prevenirne il surriscaldamento. Riguardo all'impostazione di una corretta energia, intesa come fluenza (densità di energia espressa in J/cm2 ), anche in questo caso va commisurata all'effetto desiderato sui tessuti. Qualora non dovesse essere sufficiente non sarà possibile procedere con l'incisione dei tessuti, mentre livelli troppo elevati possono portare alla carbonizzazione e a probabili danni termici. L'eventuale accumulo di residui sulla punta della fibra è in grado di assorbire la luce laser erogata diventando una fonte di energia termica secondaria, agendo come "punto di calore" con conseguente danno termico di tipo conduttivo. Per procedure chirurgiche che prevedano un intervento mininvasivo, occorre conoscere gli opportuni parametri di utilizzo dei diversi tipi di laser per poter ben calibrare l'azione di taglio in relazione alle caratteristiche del tessuto lesionale da trattare. In generale, la maggior parte degli interventi può essere effettuata in un range di potenze compreso tra 1,5 W e 3 W; tale emissione di energia potrà essere continua (CW), laddove la potenza media corrisponderà alla potenza massima, oppure pulsata (PW), in cui la potenza media sarà pari al rapporto tra l'energia per impulso e il numero di impulsi al secondo. Aumentando il numero degli impulsi si ridurrà il rilassamento termico del tessuto, mentre riducendolo si concederà al tessuto più tempo per raffreddarsi. L'applicazione di frequenze elevate conferisce maggiore capacità di penetrazione all'interno dei tessuti. Va infatti sottolineato che le diverse lunghezze d'onda hanno diverse profondità d'azione che variano dai 20-30 μm dei laser CO2 ed erbio ai 4 mm circa dei laser a diodi e Nd:YAG. Tali impostazioni vanno quindi debitamente valutate e modulate anche in relazione all'esperienza personale, al tipo di lesione e alla zona anatomica da trattare. Il principale criterio guida, che non andrebbe mai dimenticato, è quello di evitare in ogni modo l'eccessivo accumulo di calore nel tessuto irradiato. Non bisogna dimenticare inoltre che diverse patologie, anche per quanto riguarda i tessuti molli, hanno come eziologia predominante la presenza di batteri patogeni e, grazie alla luce laser, è possibile ridurre la carica microbica scatenante o comunque presente sui margini chirurgici. Il successo del trattamento passa anche attraverso la riduzione della contaminazione del sito chirurgico. Per decontaminare si possono impiegare lunghezze d'onda che abbiano cromofori target presenti sulla parete batterica oppure sfruttare temperature superiori a 50 °C (con le avvertenze espresse circa il surriscaldamento dei tessuti). Per quanto riguarda l'attività antimicrobica, numerosi studi sia in vitro sia in vivo hanno chiaramente dimostrato come essa avvenga principalmente attraverso effetti fototermici dovuti all'assorbimento della luce laser, efficace in particolare sul biofilm che ricopre le nicchie batteriche. Tuttavia, la combinazione di peculiari sostanze (fotoattrattori) con specifiche lunghezze d'onda si è dimostrata in grado di migliorare l'effetto battericida. È poi noto che i batteri opportunisti possono contribuire a provocare infezioni postoperatorie nonché lesioni dei tessuti molli, che spesso vengono trattate con la prescrizione di chemioterapici locali o sistemici. In considerazione del crescente problema delle antibioticoresistenze e dei non trascurabili effetti avversi farmacoindotti (allergie, ipersensibilità, disgeusia, pigmentazioni degli elementi dentari ecc.) saranno sicuramente di interesse i numerosi studi in corso riguardanti l'effetto antimicrobico del laser e soprattutto la sua efficacia nel tempo. Come già riportato, spesso i pazienti sottoposti a chirurgia laser dei tessuti molli riferiscono un decorso postoperatorio associato a discomfort e dolore ridotti. È noto come i meccanismi nocicettivi provengano dalla stimolazione della fosforilazione ossidativa nei mitocondri e dalla modulazione della risposta infiammatoria. Diversi studi che hanno confrontato il discomfort postoperatorio dei pazienti dopo chirurgia eseguita con laser CO2 , Nd:YAG o lama fredda hanno riportato un dolore ridotto, con minore assunzione di analgesici o antinfiammatori. Talvolta, sfruttando l'effetto del laser sui canali deputati alla trasmissione del dolore, è possibile eseguire interventi chirurgici minimamente invasivi anche senza l'ausilio dell'anestesia. Uno studio su modello animale ha quantificato la risposta nocicettiva attraverso un elettromiogramma della massa muscolare, riportando come l'incisione dei tessuti molli orali da parte di un laser Er:YAG determinasse una risposta inferiore rispetto a un bisturi tradizionale. Nell'ambito della chirurgia laser dei tessuti molli, è essenziale apprezzare come sia l'energia luminosa a effettuare l'incisione dei tessuti. Mantenendo il manipolo in una posizione di contatto o semicontatto, con una leggera azione di "pennellamento" si è in grado di incidere agevolmente il tessuto. Qualora, invece, si volesse procedere con la tecnica defocalizzata non a contatto, evitando il taglio ed eseguendo una vaporizzazione della zona da trattare, si impiegheranno lunghezze d'onda con minima penetrazione, come per esempio quella del laser a CO2 , rimuovendo via via con una garza umida gli strati superficiali trattati e raggiungendo così la profondità desiderata. Ciò è ovviamente da evitare in tutti quei casi dove si ha la necessità di procedere successivamente all'invio del prelievo per l'analisi istopatologica. A questo proposito va detto che nel campo della chirurgia dei tessuti molli i margini di incisione sono meno netti quando eseguiti con il laser rispetto alla lama fredda, ciò perché l'incisione è grande almeno quanto il diametro del fascio luminoso. Per tale motivo considerazioni a parte vanno riservate alla chirurgia dei tessuti molli che preveda l'istologia del tessuto asportato. Fatto salvo quanto precedentemente descritto è evidente che l'effetto termico può determinare l'alterazione dei tessuti che divengono, per questo, scarsamente leggibili e quindi non dirimenti per una corretta diagnosi o per l'eventuale identificazione di un processo invasivo neoplastico. Altro limite da considerare sono i quadri clinici caratterizzati da un'estrema fragilità dei tessuti, come nel caso di patologie autoimmuni quali pemfigo o pemfigoide. È evidente che laddove vi sia un'alterata coesione intraepiteliale o tra l'epitelio e lo strato basale, l'esecuzione di prelievi mediante laser può rendere indaginoso il mantenimento dell'integrità del tessuto asportato, pertanto in queste circostanze è consigliabile avvalersi di metodiche tradizionali a lama fredda.

L'uso del laser nella chirurgia dei tessuti molli è in grado di offrire al clinico numerosi vantaggi, sia nella fase intraoperatoria sia nel decorso postoperatorio. Così come per l'impiego di altri strumenti chirurgici, anche il laser prevede una corretta curva di apprendimento oltre a un'adeguata conoscenza dell'impostazione dei parametri e del rapporto di interazione luce-tessuti. Infine, come ogni tipo di intervento sui tessuti molli, esso non può prescindere da una corretta pianificazione chirurgica e da un'adeguata gestione del paziente.

Low Level Laser Therapy e sintomatologie dolorose

Nata agli inizi degli anni Sessanta con gli studi dell'ungherese Endre Mester sulle possibilità di ottenere la guarigione delle ferite per mezzo dell'irradiazione con luce laser a bassa potenza, la Low Level Laser Therapy (LLLT) si è sviluppata principalmente nei paesi dell'Europa Orientale e solo negli ultimi decenni si sta facendo strada come filosofia terapeutica nel mondo occidentale. La LLLT si basa sugli effetti biomodulanti che una luce monocromatica emessa a potenza ridotta produce in numerosi componenti cellulari. L'energia luminosa così ottenuta raggiunge i tessuti e le cellule senza determinare ipertermia e viene assorbita elettivamente da specifici cromofori intracellulari, migliorando nel complesso e attraverso molteplici meccanismi le capacità biologiche. Tra i target intracellulari particolarmente sensibili alla LLLT si ricordano il citocromo C mitocondriale, elemento essenziale della catena respiratoria cellulare, e la pompa Na+/K- che regola molti processi di permeabilità cellulare. Per ottenere tali effetti "farmacologici" della luce si devono impiegare: lunghezze d'onda, tra i 600 e i 1.400 nm, lontane dai picchi di assorbimento dei principali tessuti organici, che rappresentano la cosiddetta "finestra terapeutica"; potenze estremamente ridotte, solitamente entro i 500 mW; fluenze molto basse, tra 0,001 e 10 mJ/cm2 . Per il conseguimento degli effetti desiderati particolare importanza riveste l'identificazione della dose terapeutica, una problematica che non ha ancora raggiunto un consenso universale in letteratura, per le obiettive difficoltà nella standardizzazione dei protocolli ottenibili con le apparecchiature laser e sulla quale si sta concentrando molta parte degli studi più attuali. La LLLT può essere impiegata con successo nella guarigione e nella rigenerazione tessutale, nei processi infiammatori acuti o cronici, nelle problematiche neurologiche algiche o degenerative. Nella pratica medica, in quella odontostomatologica e in quella clinica in generale, il medico, l'odontoiatra e i vari specialisti si trovano spesso a dover gestire e trattare il sintomo dolore e le sofferenze organiche riferite dai pazienti. I meccanismi che sottendono il dolore sono molteplici, quindi altrettanto molteplici possono essere considerate le varie strategie terapeutiche e preventive. I tentativi terapeutici indirizzati in maniera sempre più selettiva e mirata nei confronti delle varie sintomatologie dolorose hanno usufruito negli anni di diverse metodiche, ottenendo però risultati disomogenei e spesso discutibili. Si possono citare i trattamenti farmacologici con diverse molecole e associazioni di farmaci più o meno selettivi per gli apparati sensoriali centrali e periferici, le stimolazioni elettriche dirette, quelle plessiche e transcutanee, gli ultrasuoni, la microchirurgia, i trattamenti inibitori ed eccitatori dei trigger point, l'agopuntura e molti altri. Tuttavia, i risultati non sono sempre stati risolutivi e convincenti, soprattutto per i numerosi e gravi effetti collaterali e avversi delle molecole farmacologiche somministrate, per le recidive cliniche, per l'intensità e soprattutto la variabilità delle sintomatologie riferite, con la coesistenza molte volte di dolori di differente natura, neuropatica e nocicettiva. Se si considerano tutte le condizioni e tutti i contesti clinico-sindromici associati al dolore, di varia natura e intensità, a giusta ragione le LLLT possono affiancarsi come valida e sicura alternativa ai vari schemi e approcci terapeutici per la risoluzione delle sintomatologie dolorose. L'energia laser offre in questo senso notevoli potenzialità terapeutiche, soprattutto in assenza di oggettive controindicazioni ed effetti collaterali.

Una definizione del dolore, coerente con le nuove ricerche in campo neurofisiologico, è stata proposta nel 1979 da un gruppo di lavoro dell'International Association for the Study of Pain (IASP) che descrive il dolore come "un'esperienza sensitiva ed emotiva spiacevole, associata a un effettivo o potenziale danno tessutale o comunque descritta come tale". Tale definizione pone l'accento sulla natura soggettiva della sensazione dolorosa. Essendo quindi il dolore un'esperienza sensoriale definibile spiacevole, alla componente somatica ed esterocettiva del sintomo si accompagna anche una carica più o meno intensa di tipo emozionale. Pertanto, le componenti sensoriali centrali e periferiche del dolore esprimono la pura percezione neurofisiologica dello stimolo doloroso. Le varie matrici emozionali rappresentano invece ciò che conferisce alla percezione algica la tonalità umorale e psicoaffettiva dell'esperienza dolorosa. Ecco allora che il dolore può essere visto e interpretato come un'esperienza spiacevole, un disagio penoso, un momento insopportabile o addirittura una sensazione corporea e mentale piacevole. Gli stimoli nocicettivi vengono trasportati dalla periferia alle corna dorsali del midollo spinale attraverso fibre nervose di almeno due tipi: C e Aδ. Le fibre Aδ mieliniche sono caratterizzate da una velocità di trasmissione dell'impulso di 12-30 m/secondo e determinano una fase rapida e acuta del dolore. Le fibre C amieliniche seguono invece una via di conduzione molto più lenta, con una trasmissione di 0,5-3 m/secondo. Si riconoscono fondamentalmente due vie che conducono l'impulso doloroso dal midollo spinale alla corteccia cerebrale. La più importante è la via neospinotalamica ed è la via del dolore acuto, con poche implicazioni di memoria e scarsamente dotata di connotazioni esperienziali. Il secondo sistema di comunicazione periferica è la via paleospinotalamica; questa è filogeneticamente più antica e le fibre giungono anch'esse alla corteccia ma attraverso numerose sinapsi intermedie, quindi l'impulso condotto subisce numerose modulazioni. Esse sono responsabili di una percezione dolorosa più diffusa e mal definita. Dal punto di vista patogenetico il dolore è classificato in molteplici tipologie: il dolore nocicettivo compare in seguito a un evento lesivo, per esempio un trauma o un intervento chirurgico. Può essere distinto in acuto e cronico; il dolore infiammatorio è associato a un processo flogistico; il dolore neuropatico, in genere cronico, atipico, urente, mal localizzabile, è il risultato di una diretta sofferenza delle stesse fibre nervose periferiche o centrali. Tra i fattori eziologici si riconosce in genere una matrice tossica, infettiva e degenerativa; il dolore psicogeno, infine, è caratterizzato da una sintomatologia spesso atipica e non rapportabile alle evidenze cliniche e ai fattori causali. Sono dolori che si autoperpetuano e perdurano a lungo anche quando l'evento scatenante è superato.

Interessanti considerazioni possono essere discusse a riguardo dei poteri biostimolanti o biosensibilizzanti che le applicazioni laser a bassa potenza sono in grado di evocare nei vari tessuti. In generale si può affermare che la LLLT determina cambiamenti nello stato energetico delle molecole bersaglio, provocando quindi effetti biologici definibili primari. Gli effetti primari sono caratterizzati da un aumento di energia a carico dei cromofori, che altro non sono che catalizzatori di reazioni biochimiche o cellulari. Tra essi vi sono i citocromi della catena respiratoria, il nicotinamide-adenin-dinucleotide ridotto (NADH), la superossido-dismutasi (SOD), le proteine fotochimicamente recettive come le encefalopsine e le porfirine endogene. L'attivazione di tali mediatori darà origine a effetti secondari, che si esprimono nei vari processi biostimolatori con azioni più o meno selettive cariocitologiche e tessutali. La LLLT rappresenta una metodica atraumatica, non invasiva, in grado di coinvolgere spettri terapeutici per l'irraggiamento dei tessuti al fine di favorirne i processi riparativi e biologici in generale. I più utilizzati per tale scopo sono i laser a diodi che emettono luce monocromatica in un'ampia gamma di lunghezze d'onda da 635 a 1.064 nm. Inoltre è stato dimostrato come nell'ambito dei laser a diodi, quelli con lunghezza d'onda di 635 nm siano più efficaci nella riduzione del dolore rispetto a quelli con lunghezza d'onda di 810 e 980 nm. L'energia fornita ai tessuti tramite la LLLT, oltre all'effetto biostimolante, svolge anche un'importante azione analgesica. Questi effetti antalgici locali sembrano essere associati ad almeno cinque fattori: un primo fattore è rappresentato da un'iperpolarizzazione di membrana che rende inefficace la stimolazione recettoriale periferica; un secondo fattore coinvolge un sistema di controllo, di inibizione del dolore a livello preencefalico; il terzo fattore è invece caratterizzato da un incremento di encefaline e di β-endorfine, in grado di determinare quindi una soppressione delle sensazioni dolorose; la quarta componente è contraddistinta da un utilizzo della LLLT per stimolare direttamente i punti sensibili all'agopuntura; il quinto fattore risponderebbe al fatto che la LLLT può intervenire anche indirettamente nel controllo della sintomatologia algica agendo su molte delle sostanze e mediatori chimici coinvolti nel meccanismo dell'infiammazione. Nell'utilizzo della LLLT si dovrà sempre considerare che l'intensità della luce laser si riduce molto nell'attraversare gli strati mucoconnettivali, dalla superficie verso le zone di tessuti più profondi. Pertanto, un laser con una densità di potenza di 100 mW/cm2 , applicato sulla superficie della mucosa orale a 1 cm di profondità, fornirà una densità di potenza di circa 10 mW/cm2 e a 2 cm di profondità si avrà 1 mW/cm2 . Nonostante l'energia dei laser per LLLT abbia un limitato potere di penetrazione attraverso i tessuti, la sua azione biostimolante riesce a raggiungere anche zone più profonde e/o lontane dalla zona d'applicazione. Questo avviene grazie all'azione diretta sulle pareti vasali del microcircolo e anche a uno spiccato effetto reologico della luce laser sugli elementi della serie rossa del sangue. Ecco allora che questi laser a diodo sono comunemente utilizzati a dosi più basse nel trattamento del dolore, dell'infiammazione e nei processi riparativi delle ferite. Si è valutato che l'effetto antalgico della luce laser a 800-900 nm sia di 30 J/ cm2 e l'effetto biostimolante sarebbe di 50 J/cm2 .

Dalle numerose ricerche rintracciabili in letteratura e dalle esperienze cliniche descritte sono chiaramente emerse le potenzialità terapeutiche della LLLT nei confronti delle sintomatologie algiche in generale e di quelle che possono interessare specificamente i vari distretti oro-maxillo-facciali. I trattamenti con LLLT sembrano quindi rispondere positivamente nella gestione del dolore di tipo nocicettivo-infiammatorio e in quello cronico di tipo neuropatico. I principi che governano e caratterizzano i diversi meccanismi di interazione laser-tessuti e le complesse proprietà fotodinamiche selettive, oggi in larga misura conosciute ma non del tutto dimostrate, aprono un'importante e possibile alternativa alle tradizionali terapie farmacologiche per la gestione del dolore cronico in campo odontostomatologico.